La crisi di rigetto da Facebook

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Di seguito il perché a un certo punto confezioni un gigantesco, onnicomprensivo “andate a cagare” e disattivi l’account di Facebook (di seguito anche il perché lo disattivi solo e non lo cancelli).

Il personaggio dell’hater da social proposto da Crozza nel nuovo show rende bene l’idea dei motivi per cui l’ennesima crisi di rigetto abbia fatto capolino. E si dice “rigetto” non a caso.

Come ha detto la buonanima di Umberto Eco nella sua ultima e più contestata uscita prima di andare nel social network più ambito del mondo, cercando di parafrasare un attimo, gli idioti ci sono sempre stati, i qualunquisti, gli opinionisti delle opinioni non richieste, i razzisti vs i buonisti, gli animalisti vs la sagra del porco muschiato, eccetera. L’arma di distruzione di massa nelle loro mani, denominato Facebook (proniunciato ironicamente fess-book da alcuni sagaci amici partenopei) ha dato loro semplicemente il megafono virtuale che da secoli bramavano per poter far sapere al mondo la loro opinione.

Il sottotitolo di questo blog – che non riscrivo perché basta scrollare col mouse – lascia intendere che chi scrive è consapevole che le proprie idee e opinioni possano non interessare a nessuno, ma questo è un luogo “privato” per quanto di pubblico accesso. Un po’ come le bacheche private sul social più famoso del mondo. Non mi sognerei mai di andare su una bacheca personale a scrivere al suo titolare che dice idiozie. Il problema sta nelle pagine pubbliche, nei commenti sotto le notizie delle pagine online dei quotidiani e, perché no?, anche sulla propria bacheca personale, dove il compagno di scuola delle elementari che non vedi da oltre 30 anni (e ci sarà il suo bel motivo…) si sente in diritto di contestarti e di darti anche della persona di bassa moralità.

Ho già scritto dei pucciosi da tastiera? Sì. Quindi rimando a quell’articolo.

Ho già scritto degli haters e dei leoni da tastiera? Sì, in “Asocial Network”. Quindi rimando a quell’articolo.

Ma la somma dei due articoli precedenti, unita a una particolare irritabilità personale contingente e, si spera, a tempo determinato, ha portato al gesto di cui all’inizio dell’articolo.

Mentana ha lanciato il neologismo “webeti”, bravo. Non l’ha ideato lui, questo lo ha scritto una volta sola tra parentesi, ma ormai nell’immaginario collettivo è lui l’eroe. Va bene, chissene, è il concetto che conta e il nuovo termine ha colto nel segno.

Ora la precisazione promessa nel primo capoverso. L’account lo si disattiva per poterlo riattivare.

Banale? Certo. Incoerente? Sicuro. Utile? Si spera.

Nel terzo aspetto confido, perché purtroppo oggi i contatti si mantengono solo così, perfino alcuni di carattere professionale e non puoi permetterti di non farti trovare per troppo tempo. Insomma, anche tirarsela è un lusso a tempo determinato, come il lavoro.

E allora si twitta un po’ (pure lì non è che si navighi in chissà quali buone acque, ma almeno le stronzate sono di 160 caratteri), si sbircia con un profilo fake per poter leggere le pagine che ci piacciono, per colpa di Zuckerberg che ha proibito il “lurking” anonimo, e si attende il periodo in cui i famosi contatti di cui sopra diventeranno imprescindibili. Dopodiché si farà di nuovo capolino.

Con qualche accusa di incoerenza in più e qualche goccia di benzodiazepina in meno.

Hopefully.

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