Mancavano pochi giorni alla fine del 2015 quando Lemmy Kilmister, l’anima dei Motörhead, cappello da pirata, dito medio alzato e una bottiglia di Jack Daniels in mano, aveva già capito tutto. Decise di aspettare di aver compiuto 70 anni, la vigilia di Natale, e quattro giorni dopo se ne andò. Sapeva che nel corso dell’anno bisesto 2016 tanti colleghi lo avrebbero raggiunto e li anticipò per andare ad aprire la porta dell’inferno, di cui ovviamente aveva una copia delle chiavi.
Il 10 gennaio infatti partì David Bowie, o Ziggy Stardust per chi lo ha sempre preferito al Duca Bianco. Si aggregò solo dieci giorni dopo Glenn Frey, anima e fondatore degli Eagles. Semplicemente il gruppo che tutt’oggi detiene il record del mondo di copie vendute di un singolo album, seppure si tratti di una raccolta (il record per un album di inediti spetta a Thriller). D’altronde l’inquientante Hotel California un po’ già l’aveva preparato a cosa ci fosse dall’altra parte. Pochi giorni prima li avevano anticipati il grande direttore d’orchestra, anche se novantenne, Pierre Boulez e il bluesman Otis Clay.
Il 26, quasi in sordina li raggiunse Black, una sola hit, ma che non te la levi più: Wonderful Life, mentre il 28 (sì, sì siamo sempre ancora a gennaio) è il turno di Paul Kantner che con i Jefferson Airplaine è scolpito nella roccia (leggi “rock”) anche grazie a Woodstock.
Il 3 febbraio è la volta di Maurice White, che di “white” aveva solo il nome, leader e voce solista degli Earth, Wind and Fire, che contendono ai Bee Gees il trono della disco music cantata in falsetto.
Si tira il fiato per un mese, ma arriva il 10 marzo la mazzata di Keith Emerson, tastierista del grandioso trio progressive Emerson, Lake & Palmer. Si tirò un colpo in testa perché a causa della malattia che lo affliggeva stava perdendo l’uso delle dita. Che per lui erano tutto, il resto del corpo un accessorio.
Due giorni prima se ne andava il cosiddetto quinto Beatle, lo storico produttore George Martin.
Un altro mese e il 21 aprile tocca a Prince, inaspettatamente. Da anni fuori dalle scene ma probabilmente il più famoso di tutti i compagni di sventure saliti sul treno 2016, quello con binario morto.
Dopo una serie di attori, che vanno da Bud Spencer (la mia personale perdita più grave dell’anno), ad Anna Marchesini, al geniale Gene Wilder, fino a Dario Fo, si torna alla musica. Una meteora? Forse, ma chi ha anche solo un vago ricordo degli anni 80 non può dimenticare i Dead Or Alive, one-hit-band con la loro You Spin Me Around. Il cantante Pete Burns muore il 24 ottobre. Ormai ridotto ad un cumolo di plastica, silicone e botox. Forse il personaggio meno famoso, ma di sicuro uno di quelli con la vita più triste e, mi si passi il termine, miserabile di tutti. E non per causa sua. Non solo.
Il 10 novembre giù il cappello per la scomparsa, per fortuna questa non prematura, di uno dei più grandi poeti della musica: Leonard Cohen. Alzi la mano chi non conosce la sua Halleluja, o la versione più moderna di Jeff Buckley (a proposito di artisti scomparsi prematuramente). Uno dei pochi che ancora oggi sfornava album che vendevano. A 80 anni suonati da un pezzo.
Il 7 dicembre il trio Emerson, Lake & Palmer perde il secondo pezzo. Greg Lake, co-fondatore dei King Crimson, raggiunge l’amico Keith. Non sappiamo come stia Carl Palmer, ma auspichiamo che abbia fatto un check up completo.
C’è poco tempo per commemorare la scomparsa di Rick Parfitt, sorico chitarrista degli Status Quo, perché due giorni dopo, esattamente il giorno di Natale deflagra la bomba della scomparsa di George Michael, a soli 53 anni. Esploso negli anni 80 con gli Wham!, in coppia con Andrew Ridgeley, abbandonò presto il pop leggero e scanzonato per darsi ad uno stile più elettronico, più cangiante nel tempo, meno commerciale. Anche lui era da tempo fuori dalle luci della ribalta, ma le due hit che tutti riproporranno sempre risalgono al periodo Wham!, ovvero Careless Whisper e soprattutto, ironia della sorte essendo morto il giorno di Natale, Last Christmas.
Meno famosi al grande pubblico, ma si sono uniti a loro anche il “nostro” Gianmaria Testa, Bruce Geduldig (del gruppo post punk Tuxedomoon), il rapper Phife Dawg, il jazzista Gato Barbieri, autore della colonna sonora di Ultimo Tango a Parigi, Leon Haywood, noto negli anni 70 e padre del soul funk, Billy Paul, Grammy Award come miglior cantante soul, Rod Temperton, autore tra le altre cose di un cosa da nulla come Thriller di Michael Jackson, Leon Russell, autore e compositore che ha duettato con chiunque, soprattutto Elton John, e Sharon Jones, altra icona soul.
E per chiudere col botto, è proprio il caso di dirlo, l’intero Coro dell’Armata Rossa, schiantatosi con il loro aereo militare.
Siamo a posto così 2016, grazie. Perché, a parte qualche attore già citato, hai portato via anche Umberto Eco e tanti altri artisti di vario genere.
Davvero siamo a posto così, facci passare un Capodanno con l’illusione che sia stato un episodio e che la musica non si stia veramente estinguendo.
No perché a prescindere da queste morti, sentendo quello che c’è in giro, un mezzo dubbio ci era già venuto.