2016 – l’Annus Horribilis della musica

Mancavano pochi giorni alla fine del 2015 quando Lemmy Kilmister, l’anima dei Motörhead, cappello da pirata, dito medio alzato e una bottiglia di Jack Daniels in mano, aveva già capito tutto. Decise di aspettare di aver compiuto 70 anni, la vigilia di Natale, e quattro giorni dopo se ne andò. Sapeva che nel corso dell’anno bisesto 2016 tanti colleghi lo avrebbero raggiunto e li anticipò per andare ad aprire la porta dell’inferno, di cui ovviamente aveva una copia delle chiavi.

Il 10 gennaio infatti partì David Bowie, o Ziggy Stardust per chi lo ha sempre preferito al Duca Bianco. Si aggregò solo dieci giorni dopo Glenn Frey, anima e fondatore degli Eagles. Semplicemente il gruppo che tutt’oggi detiene il record del mondo di copie vendute di un singolo album, seppure si tratti di una raccolta (il record per un album di inediti spetta a Thriller). D’altronde l’inquientante Hotel California un po’ già l’aveva preparato a cosa ci fosse dall’altra parte. Pochi giorni prima li avevano anticipati il grande direttore d’orchestra, anche se novantenne, Pierre Boulez e il bluesman Otis Clay.

Il 26, quasi in sordina li raggiunse Black, una sola hit, ma che non te la levi più: Wonderful Life, mentre il 28 (sì, sì siamo sempre ancora a gennaio) è il turno di Paul Kantner che con i Jefferson Airplaine è scolpito nella roccia (leggi “rock”) anche grazie a Woodstock.

Il 3 febbraio è la volta di Maurice White, che di “white” aveva solo il nome, leader e voce solista degli Earth, Wind and Fire, che contendono ai Bee Gees il trono della disco music cantata in falsetto.

Si tira il fiato per un mese, ma arriva il 10 marzo la mazzata di Keith Emerson, tastierista del grandioso trio progressive Emerson, Lake & Palmer. Si tirò un colpo in testa perché a causa della malattia che lo affliggeva stava perdendo l’uso delle dita. Che per lui erano tutto, il resto del corpo un accessorio.

Due giorni prima se ne andava il cosiddetto quinto Beatle, lo storico produttore George Martin.

Un altro mese e il 21 aprile tocca a Prince, inaspettatamente. Da anni fuori dalle scene ma probabilmente il più famoso di tutti i compagni di sventure saliti sul treno 2016, quello con binario morto.

Dopo una serie di attori, che vanno da Bud Spencer (la mia personale perdita più grave dell’anno), ad Anna Marchesini, al geniale Gene Wilder, fino a Dario Fo, si torna alla musica. Una meteora? Forse, ma chi ha anche solo un vago ricordo degli anni 80 non può dimenticare i Dead Or Alive, one-hit-band con la loro You Spin Me Around. Il cantante Pete Burns muore il 24 ottobre. Ormai ridotto ad un cumolo di plastica, silicone e botox. Forse il personaggio meno famoso, ma di sicuro uno di quelli con la vita più triste e, mi si passi il termine, miserabile di tutti. E non per causa sua. Non solo.

Il 10 novembre giù il cappello per la scomparsa, per fortuna questa non prematura, di uno dei più grandi poeti della musica: Leonard Cohen. Alzi la mano chi non conosce la sua Halleluja, o la versione più moderna di Jeff Buckley (a proposito di artisti scomparsi prematuramente). Uno dei pochi che ancora oggi sfornava album che vendevano. A 80 anni suonati da un pezzo.

Il 7 dicembre il trio Emerson, Lake & Palmer perde il secondo pezzo. Greg Lake, co-fondatore dei King Crimson,  raggiunge l’amico Keith. Non sappiamo come stia Carl Palmer, ma auspichiamo che abbia fatto un check up completo.

C’è poco tempo per commemorare la scomparsa di Rick Parfitt, sorico chitarrista degli Status Quo, perché due giorni dopo, esattamente il giorno di Natale deflagra la bomba della scomparsa di George Michael, a soli 53 anni. Esploso negli anni 80 con gli Wham!, in coppia con Andrew Ridgeley, abbandonò presto il pop leggero e scanzonato per darsi ad uno stile più elettronico, più cangiante nel tempo, meno commerciale. Anche lui era da tempo fuori dalle luci della ribalta, ma le due hit che tutti riproporranno sempre risalgono al periodo Wham!, ovvero Careless Whisper e soprattutto, ironia della sorte essendo morto il giorno di Natale, Last Christmas.

Meno famosi al grande pubblico, ma si sono uniti a loro anche il “nostro” Gianmaria Testa, Bruce Geduldig (del gruppo post punk Tuxedomoon), il rapper Phife Dawg, il jazzista Gato Barbieri, autore della colonna sonora di Ultimo Tango a Parigi, Leon Haywood, noto negli anni 70 e padre del soul funk, Billy Paul, Grammy Award come miglior cantante soul, Rod Temperton, autore tra le altre cose di un cosa da nulla come Thriller di Michael Jackson, Leon Russell, autore e compositore che ha duettato con chiunque, soprattutto Elton John, e Sharon Jones, altra icona soul.

E per chiudere col botto, è proprio il caso di dirlo, l’intero Coro dell’Armata Rossa, schiantatosi con il loro aereo militare.

Siamo a posto così 2016, grazie. Perché, a parte qualche attore già citato, hai portato via anche Umberto Eco e tanti altri artisti di vario genere.

Davvero siamo a posto così, facci passare un Capodanno con l’illusione che sia stato un episodio e che la musica non si stia veramente estinguendo.

No perché a prescindere da queste morti, sentendo quello che c’è in giro, un mezzo dubbio ci era già venuto.

La crisi di rigetto da Facebook

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Di seguito il perché a un certo punto confezioni un gigantesco, onnicomprensivo “andate a cagare” e disattivi l’account di Facebook (di seguito anche il perché lo disattivi solo e non lo cancelli).

Il personaggio dell’hater da social proposto da Crozza nel nuovo show rende bene l’idea dei motivi per cui l’ennesima crisi di rigetto abbia fatto capolino. E si dice “rigetto” non a caso.

Come ha detto la buonanima di Umberto Eco nella sua ultima e più contestata uscita prima di andare nel social network più ambito del mondo, cercando di parafrasare un attimo, gli idioti ci sono sempre stati, i qualunquisti, gli opinionisti delle opinioni non richieste, i razzisti vs i buonisti, gli animalisti vs la sagra del porco muschiato, eccetera. L’arma di distruzione di massa nelle loro mani, denominato Facebook (proniunciato ironicamente fess-book da alcuni sagaci amici partenopei) ha dato loro semplicemente il megafono virtuale che da secoli bramavano per poter far sapere al mondo la loro opinione.

Il sottotitolo di questo blog – che non riscrivo perché basta scrollare col mouse – lascia intendere che chi scrive è consapevole che le proprie idee e opinioni possano non interessare a nessuno, ma questo è un luogo “privato” per quanto di pubblico accesso. Un po’ come le bacheche private sul social più famoso del mondo. Non mi sognerei mai di andare su una bacheca personale a scrivere al suo titolare che dice idiozie. Il problema sta nelle pagine pubbliche, nei commenti sotto le notizie delle pagine online dei quotidiani e, perché no?, anche sulla propria bacheca personale, dove il compagno di scuola delle elementari che non vedi da oltre 30 anni (e ci sarà il suo bel motivo…) si sente in diritto di contestarti e di darti anche della persona di bassa moralità.

Ho già scritto dei pucciosi da tastiera? Sì. Quindi rimando a quell’articolo.

Ho già scritto degli haters e dei leoni da tastiera? Sì, in “Asocial Network”. Quindi rimando a quell’articolo.

Ma la somma dei due articoli precedenti, unita a una particolare irritabilità personale contingente e, si spera, a tempo determinato, ha portato al gesto di cui all’inizio dell’articolo.

Mentana ha lanciato il neologismo “webeti”, bravo. Non l’ha ideato lui, questo lo ha scritto una volta sola tra parentesi, ma ormai nell’immaginario collettivo è lui l’eroe. Va bene, chissene, è il concetto che conta e il nuovo termine ha colto nel segno.

Ora la precisazione promessa nel primo capoverso. L’account lo si disattiva per poterlo riattivare.

Banale? Certo. Incoerente? Sicuro. Utile? Si spera.

Nel terzo aspetto confido, perché purtroppo oggi i contatti si mantengono solo così, perfino alcuni di carattere professionale e non puoi permetterti di non farti trovare per troppo tempo. Insomma, anche tirarsela è un lusso a tempo determinato, come il lavoro.

E allora si twitta un po’ (pure lì non è che si navighi in chissà quali buone acque, ma almeno le stronzate sono di 160 caratteri), si sbircia con un profilo fake per poter leggere le pagine che ci piacciono, per colpa di Zuckerberg che ha proibito il “lurking” anonimo, e si attende il periodo in cui i famosi contatti di cui sopra diventeranno imprescindibili. Dopodiché si farà di nuovo capolino.

Con qualche accusa di incoerenza in più e qualche goccia di benzodiazepina in meno.

Hopefully.

Asocial Network

Asocial nerd

La situazione ci sta sfuggendo di mano.

Dietro la tastiera degli animai da (A)social network, ormai si nascondono i peggiori esemplari di questa nostra disgraziata generazione 2.0, come se la 1.0 non ci fosse bastata. L’aneddoto scatenante il post seguirà a fine articolo. Prima una riflessione su questo nuovo esemplare, l’unica nuova specie scoperta che dubitiamo abbia suscitato l’entusiasmo di  Piero Angela & son.

La coincidenza con la recrudescenza degli attentati islamici (ed emuli derecerebrati varii) e della nuova impennata di immigrazione, con l’evolversi di questa specie, ha generato un diarroico florilegio di “flame” (come parlo male…), nel quale il nostro nerdone ci si tuffa a pesce. Non ha colori politici, o preferenze religiose. O meglio le ha, ma a prescindere da quali sono, le stronzaggini che scrive sono molto simili tra loro.

Quello che minaccia violenza e a scuola veniva (quando non “viene”) picchiato anche dalla bambina timida del banco in fondo a sinsitra

Quello che si fa portavoce della salvezza dell’umanità, ma se gli chiedi a chi lascia il 5 per mille della dichiarazione dei redditi ti guarda come se fossi più rincoglionito di lui.

Quello che è talmente buono dentro da amare gli animali non come se fossero persone (troppo poco, le perZone Zono Falze!!!11), ma molto di più. E nella sua infita pucciosità ti augura una morte lenta e dolorosa se dichiari di esserti fatto una bistecca.

Quello che è a favore dell’immigrazione perché vive a Livigno, quello che invece la deplora ed è figlio di migranti collusi con la mafia.

Quello che pubblica i banner “BUONGIORNO MONDO!” e non saluta il dirimpettaio di pianerottolo, del quale si accorge solo quando la puzza di decomposizione arriva fino al suo computer su quale si sta indottrinando su youporn.

Quello che condivide ogni singola stronzata puccious-friendly solo per beccare, senza riuscirci, beninteso.

Quello o quella che sono già affermati e famosi e che non avrebbero bisogno di questo per fare proseliti, ma lo fanno lo stesso, perché per un “like” in più ucciderebbero, alla faccia della loro pelosa pucciosità.

E infine loro. Gli “artisti”. Che pubblicano e spammano le loro opere, non richieste e sgradite. Te le infilano tipo clistere, via messaggi privati, taggandoti (di nuovo: come parlo male…), mettendoti il “mi piace” anche se hai scritto solo “BURP!”

Ecco mettiamo che tu credi veramente nella letteratura, per esempio, ci lavori, ci sguazzi, la promuovi, la recensisci, la pratichi, ne parli, la condividi, la divulghi. Mica da ieri eh, da quando forse non c’era nemmeno ancora l’euro e questi pisciavano ancora nel letto.

Mettiamo che indici un concorso letterario, simpatico, uno scherzo, un tweet di 140 caratteri con un mini-racconto, un aforisma, una freddura, tema libero insomma. Lo scopo è solo reglare un paio di copie di romanzi o racconti di scrittori emergenti meritevoli. Molto meritevoli, cazzarola. Tenuto conto che da 15 anni divulghi sapere gratis e promuovi contest gratuiti nei guali REGALI libri, anche ultimissime uscite, o rarità costose.

Con i tuoi compagni e amici dello staff promulghi un vincitore e un paio di secondi posti ex aequo. Ti aspetti:

  1. i ringraziamenti di chi ha vinto
  2. i complimenti ai vincitori di una parte di chi non ha vinto
  3. il silenzio della restante parte di chi non ha vinto.

Ahah, beata ingenuità. Ricevi:

  1. insulti
  2. insinuazioni di combine
  3. accuse di incapacità
  4. ordini perentori di cambiare il regolamento la prossima volta
  5. sputtanamenti a link e tag incrociati, con promesse di boicottagio del tuo ventennale portale.

Che fai?

Be’ normale. Un passo indietro. I giovani dello staff rispondono pazienti, tentano di aggiustare, addirittura si scusano (il racconto vincitore pare non fosse nuovo alla comunità web, questo il nerd che vive su internet lo sa, lo staff che lavora, studia e nel tempo libero legge libri e fa all’amore, magari se l’era perso).

L'”anziano” dello staff, sbuffa, sollecita dei vaffa che giustamente non vengono pubblicati, fa un secondo e definitivo passo indietro, si inchina (poco, la schiena protesta) e se ne va.

Con quel pensiero pulsante in testa: ma chi me l’ha fatto fare per tutti questi anni?

Chi me l’ha fatto fare?

Chi me l’ha fatto fare?

Chi me l’ha fatto fare?

Buona cottura nel vostro brodo.

Spiacente non so come aiutarti

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Caro amico, se mi contatti su Facebook o su Twitter e come prima cosa mi dici di comprare il tuo libro, o di leggerlo o di recensirlo…eh non stai immediatamente simpatico.

Soprattutto quando mi chiedi se posso fare qualcosa per fartelo pubblicare, solo perché hai visto che ho tra i contatti gente che sguazza nel settore. Tutti vorremmo scrivere di mestiere, o pensi di aver avuto un’idea straordinaria?

Abbiamo tutti i nostri problemi, io per esempio non so come eliminare l’interlinea doppia quando si va a capo qui su questo blog, ma mica spacco le gonadi a chiunque per risolvere questo mio piccolo dramma.

Dammi retta, contattami solo per i seguenti motivi:

  1. Ci conosciamo o ci siamo conosciuti
  2. Non ci conosciamo ma ti piace quello che scrivo e vuoi diventare mio amico perché senti già di volermi bene
  3. Non ci conosciamo ma hai una proposta vantaggiosa per me
  4. Non ci conosciamo ma vuoi contattarmi e basta, senza un vero motivo. Nessun motivo è già un buon motivo.

In tutti i casi diversi da questi, non lo fare.

La vita è già abbastanza pesante così, senza aggiungere altre zavorre.

Love.

Tra il cambiare e il tutto uguale

Cambiare, cambiare, cambiare. E non parlo (solo) delle mutande. Cambiare alla svelta oppure mai più, questo è il problema. Se ci fosse tempo ok. Ma non c’è. Quindi il finale è scontato. Cambia niente. Ma va bene così. O almeno normale così. Pensa a chi muore di fame. È l’escamotage di sempre. Pensi a chi muore di fame, ti senti una merda e timbri il cartellino provando sollievo misto a vergogna. Un giorno? Forse due, dai. Poi la vita è una ruota e… Cambiare, cambiare, cambiare. All’infinito. Non è detto che sia un male. È solo uguale.

L’importanza di essere Puccioso

puccioso

La vecchia tecnica del “sono dolcissimo” per sollevare una sottana in più, nel terzo millennio si traduce nella nuova ondata di animali umani maschi che tramite il demoniaco strumento denominato Facebook tentano in tutti i settori di alzare la sottana virtuale 2.0 (il mi piace dell’animale umano femmina), nella speranza di uno sviluppo vecchio stile anche dal vivo.

I settori in cui tale animale sbrodola la propria “dolcezza” ed il proprio animo sensibile spaziano in tutti i settori. Le argomentazioni espresse sono spesso vere, giustissime e condivisibili, l’unico problema è che il soggetto in questione in realtà non è minimamente interessato alla cosa, ucciderebbe sua madre per un like in più, specialmente da parte dell’esemplare femmina.

Vediamo alcuni esempi:

– Politica: trionfo del buonismo e del siamo tutti uguali. I terroristi vanno capiti, le vittime vanno compiante; è tutto un magna magna ed è sempre la povera gente che ci rimette, qualunque cosa tu dica sei quasi certamente un razzista, un leghista, o addirittura sei Berlusconi.

– Religione: è l’oppio dei popoli ovviamente, però bisogna rispettarle tutte, però i Cristiani facevano le crociate nell’anno 1000 quindi un po’ l’Islam ha ragione a farci esplodere qualche bomba sotto al culo. Ah, Benigni fa i 10 comandamenti a pagamento: VERGOGNAA!!!!!111

– Animali: pucciosi, pucciosini, pucciosetti, pelosetti, i gattini trionfano sul web e tu sei un mostro se mostri meno che entusiasmo, i cani devono stare a tavola con la famiglia e avere un letto a baldacchino: Se uccidi anche solo un acaro sei un mostro, se mangi carne sei un mangia cadaveri e ti venisse un tumore (la crudeltà è ammessa in via del tutto eccezionale solo nei confronti degli esseri umani)

– Sport: 22 imbecilli in mutande che corrono dietro a un pallone, con tutti i milioni che guadagnano e c’è la povera gente che non arriva alla fine del mese.

– Lavoro: W l’articolo 18, se pensi di cambiarlo anche solo di una virgola sei Berlusconi. Non esistono fancazzisti, sono tutti lavoratori pucciosi che si fanno il culo, che ne sai tu che sei nato ricco di famiglia?!

Geografia: L’italia è bella al sud, il nord fa schifo perché c’è la nebbia e Salvini. Se no sei leghista.

W il medio oriente e l’Africa. L’Europa, gli USA e l’Occidente in generale sono il Male.

Economia: L’Italia è una merda e lo è sempre stata, bisogna scappare all’estero (dove sono tutti lì che aspettano te a braccia aperte)

Immigrazione: gli immigrati sono una risorsa. PUNTO. Senza distinzioni e senza eccezioni. Se un immigrato commette un reato e tu nel commentare sottolinei che è un immigrato senza dire che gli italiani sono peggio, sei razzista. Ce ne vorrebbero di più, gli italiani non vogliono più fare i lavori umili.

Gay: W i gay, come vorrei essere nato gay! Dio, perché mi hai fatto etero????!!!!!!!! (ah già non esisti). Altrimenti sei omofobo (e pure cattolico)

Tutto ciò a prescindere che sia corretto o meno, condivisibile o meno: è il fine che giustifica i mezzi.

L’importante non è come la pensi o se ciò che scrivi sia giusto o sbagliato, l’importante è che sia Puccioso.

Fine Embargo USA-CUBA: ma fatevi vedere da uno bravo!

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Fatemi capire, mi hanno detto che un Papa di Portacomaro Stazione (AT), un Presidente degli Stati Uniti di colore e il fratello scemo di Fidel Castro hanno posto fine all’embargo nei confronti di Cuba.

E voi ci credete? La prossima è che Topo Gigio, Borat e Memo Remigi hanno siglato la pace nella striscia di Gaza.

Ma fatevi vedere da uno bravo!

Addio alla duchessa d’Alba, la nobildonna più riciclablile al Mondo

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Si è spenta (anche perché era in materiale autoestinguente) la duchessa María del Rosario Cayetana Alfonsa Victoria Eugenia Francisca Fitz-James Stuart y de Silva Falcó y Gurtubay, per gli amici María del Rosario Cayetana Alfonsa Victoria Eugenia Francisca Fitz-James Stuart y de Silva Falcó y Gurtubay, per i burloni semplicemente James Stuart.

Aveva 88 anni e 40 titoli nobiliari, i secondi sono stati superati dai primi nel 1970 e non sono mai più riusciti a recuperare terreno.

Interamente realizzata in Polipropilene caricato in fibra vetro, la duchessa rispondeva a tutti i requisiti sulle vigenti normative in termini di sicurezza e riciclabilità.

Secondo il suo portavoce verrà trasformata in una serie di cestelli della spesa del Carrefour, per i feticisti uno straordinario modo per unire l’utile (il feticismo) al dilettevole (la spesa).

RIcordiamola così, ma soprtattutto auspiachiamo che qualcuno vada a verificare come sta Ornella Vanoni, perché non vorremmo ci fosse stato un clamoroso scambio di persona.

R.I.P. (Ricicla in Pace)

Il blocco dello scrittore

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Pensieri di alcuni anni fa…

Camminavo senza pensare bene a dove stessi andando, per le vie del centro natalizie, tra una folla insopportabile di teste incappucciate che nonostante i quindici sotto zero andava a comprare l’ultimo gioco per la Play Station di quel rompipalle del figlioletto di otto anni che ha già lo scazzo di un cinquantenne.

Camminavo e pensavo a qualcosa di buono da scrivere, dato che da molto tempo non lo facevo e poi pensavo che forse non l’avevo mai fatto. Non che non avessi mai scritto, anzi, ma forse non avevo mai scritto niente di buono. Certo non mi mancava il materiale, ma finche lo fai leggere ai tuoi amici o alla tua ragazza dopo un po’ gli stimoli calano. Lei poi mi chiedeva sempre cosa aspettassi a scrivere un romanzo. Be’ certo, come avevo fatto a non pensarci prima? Un romanzo! Magari domani mattina mi sveglio e ne scrivo uno, poi lo mando a qualche casa editrice e divento finalmente miliardario, ché ne ho proprio bisogno!

Pessimismo e fastidio, diceva qualcuno.

Comunque il romanzo non lo scrivo, non ancora almeno, non ho le idee, o almeno ne ho talmente tante solo abbozzate che non so neanche da quale cominciare per renderla un’idea decente.

Così cammino tra la folla natalizia e penso. Un Babbo Natale un po’ alticcio mi si avvicina e con un alito alla vodka mi biascica un “Buon Natale!” ad un volume inconcepibile. Buon Natale a te amico. Buon Natale.

Era l’inverno del 2001-2002, il più freddo da anni, ti si gelavano gli sputi appena li facevi, tanto che sembrava fossi una cerbottana. Riflettevo sul Natale, le sue ipocrisie e le sue contraddizioni e credevo di essere diverso, poi due minuti dopo mi riscoprivo a pensare a cosa fare per Capodanno. Qualcuno ha parlato? Chi è l’ipocrita qui? Be’ dai, il 2002 bisognava festeggiarlo e non solo perché era un anno palindromo e il prossimo sarà il 2112, quando ormai avrò 139 anni, ma anche perché iniziava l’era dell’Euro e potevamo dire ciao ciao alla beneamata e famigerata Lira, alla Montessori e ad Alessandro Volta, a Gianlorenzo Bernini e al Caravaggio, detti in ordine di frequenza con la quale li avevo visti nell’arco di quei ventotto anni.

Molto rumore per nulla, direbbe Guglielmo, tanto sono sempre soldi e chi non aveva una Lira non avrà un Euro…

Pensavo e mi chiedevo quanto mancasse ancora per arrivare a casa, perché mi si stava gelando il culo, con rispetto parlando, e perché mi era venuta voglia di scrivere. Un’idea per un romanzo? Anche solo per un racconto? Una poesia almeno? Niente. Solo voglia di scrivere, accendere il computer e far svolazzare le dita ormai agilissime sulla tastiera, rileggendo solo alla fine cosa si era materializzato sullo schermo. Una tecnica che avevo adottato numerose volte, non perché fosse vincente, ma perché era l’unica che conoscevo. Impulsivo in certe cose, quanto meditabondo ed incerto su altre. Signore e signori mi presento! Purtroppo non sono mai stato sicuro di avere azzeccato le giuste combinazioni sulle cose da fare d’impulso e quelle sulle quali riflettere. Mi ritrovo a scrivere un mare di idiozie in un italiano corrente e mi chiedo se riflettendoci non potrei anche arrivare a dei livelli leggibili da terze persone e poi mi ritrovo a pensare per un quarto d’ora se telefonare alla mia ragazza subito o dopo le nove, senza che ci sia un buon motivo per scegliere un’ora rispetto all’altra. Poi chiamo subito e lei non può parlare perché sta lavorando ed io la volta dopo ci penso mezz’ora.

Scivolo mentalmente in un torpore infreddolito da un capitolo all’altro della mia opera mentale e arrivo a casa, dolce casa! Entro, mi scaldo, mi cambio, accendo il computer e che il fiume in piena di parole sfondi pure gli argini, qualunque cosa si trovi sul suo cammino venga pure travolta, qualunque pensiero si trovi scomodo nella mia piccola testa possa finalmente uscire fuori e trovare una dimora più sicura e duratura in un hard disk, dove forse un giorno verrà cancellato, ma dove fino ad allora non potrà più confondermi e potrà assumere una forma più fredda e più facilmente analizzabile.

Vivevo come scrivevo, tutto cadenzato come una colonna sonora rock, molto pesante e martellante, ma sempre con un ritmo preciso, scegliendo le parole e i fatti con precisione solo apparente e comunicavo le mie perplessità crescenti a chi mi stava vicino e capiva poco, ma ascoltava tanto. La perplessità mi ha sempre accompagnato, non ho mai capito bene i dettami della vita, mi sono chiesto milioni di volte le stesse cose senza trovare risposte esaurienti ed ho fornito milioni di volte le stesse risposte in altri casi, nella convinzione di sapere che quel fatto era certo ed io lo sapevo, al contrario della massa. Mi sono sempre crogiolato nelle mie poche convinzioni, sono state i miei punti fermi, le ho proposte a volte in maniera discreta, altre volte con arroganza, a seconda dello stato d’animo e mi sono scontrato per questo. Poi alla fine avevo ragione, avevo sempre ragione, anche quando non ce l’avevo o rinunciavo a capire se ce l’avessi. Mi congedavo dalla discussione con tono accondiscendente verso chi mi stava di fronte, ma convinto che non si fossero smosse di un millimetro le mie certezze. Avevo solo quelle dopo tutto ed erano frutto di anni di elucubrazioni mentali; mi servivano ben altre motivazioni per privarmene così, a cuor leggero.

Per tante altre cose attendo ancora le risposte, per altre non ci spero più, per altre ancora non ci tengo a saperle. Solo in questo modo posso continuare tranquillo per la mia strada.

La camminata nel gelo invernale mi aveva schiarito un po’ le idee, potevo di nuovo affrontare i miei pensieri e tentare di convincerli ad uscire fuori, dopo molto tempo durante il quale si erano rintanati per paura di essere smentiti, non dalle persone che li ascoltassero, ma da loro stessi, guardandosi allo specchio.

Questo è il motivo per cui ho ricominciato a scrivere.

Ora non ho più paura, perché so che i miei pensieri non ne hanno più e sono pronti per gettarsi in pasto agli avvoltoi. Tanto in fondo non sono pensieri poi così malvagi.

Non temono nessuno, perché nessuno ha nulla da temere da loro…almeno finché non li contraddicono.

IL “BENALTRISMO” DILAGANTE

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“Sono ben altri i problemi dell’Italia, signora mia!”

Quali? Non si sa. Di qualunque argomento si parli, per qualunque cosa ci si indigni, c’è sempre il figaccione di turno che ti deve dire che i problemi sono “ben altri” e non certo quelle menate per cui tu ti scaldi tanto.

L’esempio più recente è il ladrocinio (presunto eh) avvenuto domenica durante Juventus-Roma, che ha generato un’interrogazione parlamentare. I “benaltristi” si sono scatenati sui social network e come sempre è stato un florilegio di luoghi comuni e frasi fatte, il tutto sempre atto a raggranellare il famoso “mi piace” in più: “con tutti i problemi che abbiamo…”, “undici imbecilli analfabeti in mutande che corrono dietro una palla…”, “i politici dovrebbero magnare de meno e pensare alle cose importanti del paese non alle questioni da Bar Sport…” e via dicendo.

Messa in questi termini è giusto, per carità.

Solo che…

A parte che il calcio è la quarta industria italiana per fatturato, che le due squadre in oggetto sono quotate in borsa e che le azioni di quella danneggiata (presunta tale eh) sono crollate del 4%, con buona pace degli azionisti.

A parte che c’è gente che spende i pochi sudati risparmi per coltivare una passione (stadio, pay-tv ecc…) e gradirebbe che le cose si svolgessero in maniera equa.

A parte che i “benaltristi” storici lo sono sempre un po’ meno quando vengono chiamati in causa (leggi tifosi più o meno vip delle due squadre, di solito “benaltristi” doc, in questo caso scatenati).

A parte tutto ciò, la cosa potrebbe essere anche classificata di secondaria importanza di fronte a: disoccupazione, precariato, pensioni che si spostano nel tempo e decrementano di importo, sanità allo sfascio, guerre, decapitazioni live, immigrazione selvaggia, barconi che affondano e chi più ne ha più ne metta.

Solo che poi vai a leggere quali sono questi famosi “ben altri problemi” secondo qualcuno e scopri che la priorità assoluta sono le nozze gay.

Ora io sarei felicissimo di vedere finalmente Ferdinando e Gianfranco convolare a giuste nozze, ma credevo che un “benaltrista” professionista mi tirasse prima fuori, per esempio, il tema della disoccupazione, anche perché ormai in una coppia bisogna lavorare in due e Gianfranco non può permettersi di fare la casalinga.

Quindi, a tutti i “benaltristi” italioti: fate una scala delle priorità sensata, una in cui se la mafia nel pallone sta al 38° posto, i matrimoni gay (seppur più importanti) stanno al 37° massimo al 36° posto. Lo so che fa più figo oggi difendere pubblicamente certe tematiche molto più popolari, ma rinunciate, in nome della sensatezza, a una decina di “mi piace” e guadagnate dei punti nella scala gerarchica della furbizia.